Società

Unioni civili e matrimonio cattolico;una data storica, o un giorno di festa?

 

di Giuseppe Di Micco

Il giorno 11 maggio 2016 è stata vagliata dalla Camera, dopo aver ricevuto l’approvazione del Senato, la legge sulle unioni civili, con 372 si, 51 no, e 99 astenuti. Per molti una data storica, o un giorno di festa per tanti, come ha acclamato il premier Renzi. Oggi è a tutti gli effetti una legge dello Stato in vigore dal 5 giugno scorso

Si tratta di un unico articolo con ben 69 commi, introduce nel nostro ordinamento ben due novità: le unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze di fatto tra etero e omosessuali. Non è consentita, tuttavia, la possibilità di adozione da parte di coppie omosessuali.

Ecco le principali novità in materia.

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Le unioni civili omosessuali

La legge riconosce a due persone maggiorenni dello stesso sesso il diritto di costituire una unione civile registrata e riconosciuta a livello giuridico. L’unione tra due persone dello stesso sesso viene definita una formazione sociale specifica, per distinguerla dall’unione matrimoniale che avviene tra un uomo e una donna, che, però, ha quasi gli stessi requisiti del matrimonio.

Gli interessati dovranno fare un’apposita dichiarazione di fronte all’Ufficiale di Stato Civile ed alla presenza di due testimoni. Tale dichiarazione (detta “atto di unione civile”) verrà quindi registrata nell’archivio dello stato civile, come gli atti di matrimonio.

L’atto attestante la costituzione dell’unione deve contenere i dati anagrafici delle parti, l’indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, i dati anagrafici e la residenza dei testimoni.

Non si potrà unire civilmente chi è ancora sposato, se si hanno legami di parentela, in caso di interdizione per infermità mentale, o per chi ha commesso un omicidio o tentato omicidio nei confronti dell’ex coniuge o di un membro di un’unione civile.

Dall’unione civile tra persone dello stesso sesso deriva l’obbligo all’assistenza morale e materiale e il diritto alla coabitazione, “concordano l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune”.

Per quanto riguarda gli obblighi, entrambe le parti sono tenute infatti, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni, gli stessi diritti e doveri che il Codice civile prevede per i coniugi. Tuttavia – a differenza delle coppie unite in matrimonio – per le coppie omosessuali non è previsto l’obbligo di fedeltà e di collaborazione nell’interesse della famiglia; uno dei punti che ha più suscitato forti polemiche.

I partner sono inoltre riconosciuti a tutti gli effetti come dei veri e propri coniugi in caso di malattia e ricovero e in caso di morte. In questo caso, il partner superstite avrà diritto alla pensione di reversibilità, al Tfr maturato dall’altro, nonché all’eredità nella stessa quota prevista per i coniugi uniti in matrimonio, spettando per la parte su persistite il diritto alla legittima.

All’unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli del codice civile relativi alle cause di nullità del matrimonio: quando il consenso sia dipeso da errore, violenza o timore di eccezionale gravità; quando solo uno dei coniugi versi in tale condizione; quando entrambi i coniugi siano stati in mala fede.

L’unione civile si scioglie quando anche una sola delle parti manifesta la volontà di scioglimento dell’unione registrata dinanzi all’Ufficiale dello Stato Civile.

Anche la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile fra persone dello stesso sesso. In caso di rettificazione anagrafica di sesso, se i coniugi hanno manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, dal punto di vista giuridico viene automaticamente instaurata un’unione civile tra persone dello stesso sesso.

La nuova legge prevede che le disposizioni (leggi, atti aventi forza di legge, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi), che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni che contengono le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

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Le convivenze di fatto

Sono unioni tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso non registrate. Sono considerati conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, che coabitano ed hanno dimora abituale nello stesso comune.

Anche i conviventi di fatto hanno l’obbligo di reciproca assistenza e gli stessi diritti spettanti al coniuge previsti dall’ordinamento penitenziario, o in caso di malattia o di ricovero.

I conviventi, infatti hanno reciproco diritto di visita in ambito sanitario, di assistenza, di accesso alle informazioni personali, analogamente ai coniugi e familiari.

Ciascun convivente ha altresì la facoltà, in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, di designare l’altro quale suo rappresentante per le decisioni in materia di salute (comprese le scelte in materia di donazione di organi, modalità di trattamento del corpo e celebrazioni funebri).

In caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, al convivente di fatto superstite è garantito il diritto di abitazione per due anni o per un periodo pari alla durata della convivenza se superiore a due anni, fino ad un massimo di cinque anni.

Qualora dall’unione siano nati figli e questi siano minori o disabili, il convivente superstite ha diritto di abitazione per un periodo non inferiore a tre anni dalla morte del partner.

A differenza delle unioni civili non si ha invece diritto né al Tfr, né all’assegno di reversibilità.

In caso di cessazione della convivenza di fatto e qualora il convivente separato non disponga di un proprio adeguato reddito è previsto l’obbligo di mantenimento a carico dell’altro convivente per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza. Spetterà sempre al giudice stabilire la misura e la durata dell’obbligo alimentare in proporzione alla durata della convivenza.

I conviventi possono anche disciplinare i loro rapporti patrimoniali stipulando un apposito contratto di convivenza, mediante atto pubblico o scrittura privata, dinanzi ad un notaio o ad un avvocato.

Il contratto di convivenza si scioglie in caso di morte di una delle parti, di matrimonio o successiva unione civile anche con un terzo di una delle parti, di accordo o recesso unilaterale di una delle parti.

Queste sono in poche battute le principali novità che oggi in Italia sono in vigore per le unioni civili e le convivenze di fatto.

Tale legge di sicuro mette in discussione le fondamentali nozioni di famiglia e matrimonio. non a caso nel testo di legge, le unioni civili sono definite come formazioni sociali specifiche per distinguerle dal matrimonio, sebbene di quest’ultimo ne traggono le maggiori caratteristiche.

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La nostra Costituzione riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.). Ed ancora fonda il matrimonio sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare. Per fortuna ancora si parla nel nostro ordinamento di matrimonio e famiglia. Ma quale famiglia? Quella che si fonda sull’unione tra l’uomo e la donna ed è aperta verso la procreazione dei figli? Oggi il matrimonio civile è liberamente dissolubile per autonoma determinazione delle parti; la coabitazione è resa disponibile dai coniugi; la violazione dell’obbligo di fedeltà è priva di qualsiasi sanzione; la procreazione non è l’elemento essenziale dell’istituto, essendo anche l’interruzione della gravidanza rimessa al volere della sola donna; è in atto una scissione tra sessualità, generazione e matrimonio; le prerogative giuridiche del matrimonio, sono debilitate rispetto all’unione libera e si assiste alla progressiva equiparazione tra matrimoni e unioni di fatto. Per di più un coniuge può riconoscere la prole nata fuori del matrimonio e in costanza dello stesso, nonché vi è la piena equiparazione tra figli legittimi e naturali. Inoltre, assistiamo al fatto che nell’odierna società i rapporti sessuali prematrimoniali, sono almeno da un punto di vista statistico assai frequenti, anche tra i cattolici. Nelle unioni di fatto, la determinazione temporale del rapporto è lasciata alla libera determinazione delle parti, per cui vi è un rapporto privo di stabilità.

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Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium al n.66 afferma: “la famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli“.

La Chiesa guarda e difende la famiglia fondata sul matrimonio, come a quell’unione monogamica, che si forma tra un solo uomo e una sola donna, unione caratterizzata dall’indissolubilità, ossia dalla stabilità e fermezza del legame che si crea tra i coniugi e poi proiettata anzitutto verso il bene dei coniugi, in un rapporto di dedizione totale all’altro, che permette all’uomo ed alla donna di diventare una sola cosa, ed aperta verso la procreazione e l’educazione della prole. Nel matrimonio uomo e donna si appartengono l’uno all’altro, l’inclinazione sessuale chiede ed esige di realizzarsi in un’autodonazione totale e definitiva. Un autore scriveva che la sfera sessuale è di certo qualcosa di proprio rispetto all’amore, ma tra essa e l’amore coniugale c’è una sorta di “armonia prestabilita”. Anche il concepimento conserva tutto il suo fascino quando si realizza nella comunità coniugale, ed è quando avviene nell’amore coniugale che la nuova persona è riconosciuta nella sua unicità ed irripetibilità. Separare l’atto del concepimento dall’atto dell’amore coniugale espone la persona a non riconoscere la sua dignità.

Le convivenze di fatto, come le unioni tra persone dello stesso, per nulla possono essere paragonate all’unione matrimoniale, manca l’accettazione del reciproco vincolarsi e del reciproco consegnarsi; è un semplice accordo tra due individui che vogliono rimanere tali, senza volersi legare l’un con l’altro, ma, forse, volendo ottenerne soltanto vantaggi personali. Nel caso, invece, di unioni tra persone dello stesso sesso, sarebbe addirittura impossibile che si realizzino alcuni punti cardine della famiglia: la procreazione sarebbe impossibile, a meno che non si volesse ricorrere all’adozione, ma pur volendo ricorrere a quest’ultima fino a che punto il bambino adottato può avere una chiara idea del ruolo dei genitori.

Equiparare il matrimonio ad altri tipi di unioni costituisce una rinuncia alla promozione del bene umano comune. Ancora una volta la Chiesa fa sentire la sua voce, lo ha fatto di recente con il Sinodo Straordinario sulla Famiglia dell’ottobre scorso, dove in un clima di apertura pastorale, nonché di accoglienza e di benevola carità verso i divorziati, ha ribadito la fondamentale importanza del legame tra l’uomo e la donna, i soli e veri protagonisti della famiglia che potrà essere arricchita dal dono dei figli. Sempre Papa Francesco nell’ Evangelii Gaudium ci dice: “il contributo indispensabile del matrimonio alla società supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia”. Il matrimonio non nasce “dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto dagli sposi che accettano di entrare in una comunione di vita totale“.

Non si può non citare la bellissima esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, pubblicata lo scorso 8 aprile. Un documento lungo ma scorrevole che richiede una lettura attenta e paziente, attento ai delicati ambiti della famiglia in tutte le sue sfaccettature. Questo documento non si pone in antitesi a quanto la Chiesa ha sempre affermato, né ha sconvolto le cose; al contrario si pone nel dimensione della continuità della tradizione della Chiesa innovandola nella realtà. Nessun cambio di rotta, perché la dottrina della Chiesa è e sarà sempre quella. Infatti, chi si aspettava qualche novità circa il riconoscimento dei matrimoni omosessuali anche per la Chiesa, o circa l’ammissibilità all’Eucaristia per i divorziati risposati, è rimasto, forse, un po’ deluso. “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia; ed è inaccettabile che le Chiese subiscano pressioni in questa materia” (n. 251). Tuttavia, anche gli omosessuali vanno accolti e rispettati nella loro dignità, evitando qualsiasi aprioristica discriminazione.

A noi in quanto credenti la fede non ci esime dal rendere ragione della nostra testimonianza anche a chi non crede, dal rendere ragione della verità che la fede ci insegna circa il matrimonio e la famiglia; tale verità non è solo cristiana ma è umana. Il Vangelo del matrimonio è la risposta più adeguata ai desideri più profondi dell’uomo e della donna che si sposano per conservare fino alla fine il buon vino del banchetto nuziale.

11225298_10205413791679731_9140407499771387665_n Dott. Giuseppe Di Micco Avvocato, Dottore di ricerca PHD presso Università degli Studi di Milano

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